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UNO SGUARDO INDISCRETO Longanesi Editore 1999 Scritto a quattro mani con Federico Zeri. ISBN:88-304-1529-4
Dal più grande critico d’arte italiano e da una nota autrice di thriller, un giallo di passioni, vizi, statue, ricette e fotografie scabrose.
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Un’indagine su opere d’arte rubate porta il maresciallo Ferdinando Merulla, in forza al nucleo operativo per la tutela del patrimonio artistico, in una sontuosa villa sul lago di Lugano, dove un miliardario americano coltiva la sua passione per l’arte, attorniato da una corte di amanti seducenti, amici devoti e collaboratori fidati. Un’esistenza elegante e ovattata che viene sconvolta quando Dorothy Dickens, una delle sue più adorabili ospiti, viene trovata morta nella sua vasca da bagno. Improvviso malore, dice il medico. Brutale omicidio, afferma Merulla, che si trova così implicato in una complessa indagine fuori della sua giurisdizione e del suo ambiente, ma sempre consapevole che l’impulso ad uccidere trova terreno fertile proprio nelle menti più raffinate. L’assassino non può essere che un ospite della villa, ma chi? Un’amante gelosa? Un amico che non è tale? Un consulente avido? Un collaboratore ambizioso? Un domestico che ha qualcosa da nascondere? rancori, avidità, invidie e sospetti frantumano l’apparenza idilliaca di quel mondo dorato. L’indagine si dipana tra opere d’arte, manie di grandezza, ansie da collezionismo, ricostruzione di templi malatestiani, pregiudicati toscani, vecchi furti e migliaia di fotografie sino ad un altro, inevitabile, delitto... Un romanzo incisivo, dallo stile elegante, dove l’ironia del racconto si fonde con la trama complessa dei migliori gialli.
Dove lo spessore dei personaggi e la profondità dei loro sentimenti fanno tutt’uno con un ambiente magistralmente descritto. E dove il lettore ritroverà la pacatezza, la tenacia, la capacità di comprensione umana, la concretezza, l’abilità culinaria e le malinconie del maresciallo Merulla, indimenticato protagonista di MAI CON I QUADRI, il primo romanzo di questa inconsueta coppia di autori.
Il sole, a picco sulla campagna immobile, amplificava il canto delle cicale e illuminava crudamente la fossa. Profonda, contornata da mucchi di zolle scure da cui spuntavano sottili ciuffi d’erba di un verde brillante, appariva troppo vivida, come artefatta. La perfetta immagine iperrealista di una fossa, assolutamente incongrua nella dolcezza morbida di quel poggio toscano.
Il maresciallo Ferdinando Merulla fissò con impazienza il giovane carabiniere di turno allo scavo. Era chiaro che il ragazzo sarebbe stato più a suo agio davanti a un computer, e non c’era da dubitare della sua buona volontà, ma vederlo maneggiare la zappa con tanta inettitudine gli faceva venire un’insana voglia di strappargliela a forza dalle mani.
Scambiò uno sguardo di rassegnata intesa con il brigadiere Apolloni, si strinse nelle spalle e decise di fare esercizio di pazienza. Perché forse, in quella fossa, avrebbero trovato quello che da mesi andavano cercando.
Erano arrivati fin là per una precisa segnalazione, frutto di una di quelle imponderabili circostanze che, a volte, portano a rapida e imprevista soluzione casi aperti da anni.
L’allarme era stato dato da alcuni operai addetti allo scavo del nuovo canale fognante della grande villa che sovrastava il poggio, ed era stato così dettagliato da farli schizzare a tavoletta lungo i duecentoquarantatre chilometri che ora li separavano dai loro comodi uffici freschi di aria condizionata. Il ricordo improvviso di quel lontano benessere accaldò ancora di più il maresciallo, che si asciugò la fronte con un fazzoletto candido e abbassò di qualche altro centimetro la visiera. Neanche quando era di stanza in Barbagia aveva mai sentito un’afa così bestiale.
- Ci siamo, signor Maresciallo - ansimò d’un tratto il carabiniere la cui camicia azzurra era diventata blu scuro dal sudore - sento qualcosa. - E si immobilizzò con la zappa a mezz’aria, indeciso.
- Dai allora, continua, no? - lo incitò Merulla mentre gli operai che erano rimasti a curiosare intorno si avvicinavo a guardare come calamitati. - Ma fa’ piano, con delicatezza, mi raccomando.
Il carabiniere, che aveva un viso rotondo da fanciullo, si guardò intorno smarrito.
- Ci penso io, marescià - si fece avanti Apolloni infilandosi i guanti di gomma. Saltò dentro e cominciò a scostare la terra, piano piano, con le mani.
La prima cosa che apparve fu il busto, sottile, da adolescente, da cui spuntavano due seni piccoli e tondi, ancora perfetti. Poi la curva dolce del ventre e il monte levigato del pube. Poi, più niente.
Il brigadiere si fermò.
- Forza, Apolloni, continua a scavare - ordinò il maresciallo con voce piatta, senza distogliere gli occhi.
Apolloni scavò. Sepolte alla rinfusa accanto al busto apparvero le gambe, poi un braccio, poi la testa. Furono poggiati lì accanto, sull’erba smeraldina, imbrattati di terra, attaccati dall’umidità, vilipesi dalle mutilazioni, esposti ai raggi crudi e indifferenti del sole.
- Che scempio - mormorò il maresciallo quando avvolsero il tutto in un telo di plastica robusta. - Ma che motivo c’era di ridurla così?
- Forse perché era troppo pesante, marescià -
rispose Apolloni liberandosi con un sospiro di sollievo dai guanti che gli
soffocavano le mani in un’umidità vischiosa. - O forse gli si è rotta a pezzi.
Tanto a loro cosa importa? Pare che c’è chi compra anche quelli.
- E già - borbottò Merulla con amarezza. - Una statua così veduta pezzo a pezzo
può anche rendere molto più che intera.
Un anno prima, quando Merulla era stato trasferito al Nucleo per la difesa del patrimonio artistico, il tenente Polillo gli aveva confessato che ritrovare un’opera d’arte gli dava la stessa intensa emozione che si prova quando si libera un rapito. E il maresciallo, che di rapiti ne aveva liberati davvero, aveva annuito per puro spirito di obbedienza gerarchica. Ma adesso che aveva ritrovato la statua della dea Igea, adesso capiva.
Perché aveva sentito correre nelle vene la rabbia e l’indignazione di quando si trova, così scempiato, un cadavere.
L’afa implacabile che si abbatteva sulla campagna sembrò togliergli il respiro all’improvviso come se, scemata la tensione delle ultime ore, il suo organismo avesse ritrovato l’energia di reclamare i propri diritti.
- Vieni - fece al brigadiere, indicando con un cenno del capo lo scuro filare di cipressi che si dipanava dolcemente verso la villa - andiamo a interrogare il custode. Dentro, almeno, farà un poco di fresco.
- Prendo la macchina?
- Ma no, che diamine, sono due passi.
I passi furono ben più di due, e naturalmente, in salita, ma gli diedero il modo di rendersi conto della bellezza della villa che era semplice, dalle pareti di muratura liscia, decorata solo dai timpani che sovrastavano le finestre incupite da pesanti grate e affiancata da un lato da una specie di torre quadrata, austera, che era alta appena un piano più, ma che sembrava dominarla.
Il portone, anch’esso semplice e liscio, sicuramente mai rimaneggiato dacché era stato posto lì quattrocento anni prima, si aprì quando loro furono a pochi metri. Ne sbucò il custode con l’aria affannata di chi si è finalmente liberato da un pressante impegno, ma con un tempismo così perfetto da far sospettare che fosse stato a spiare il loro arrivo da dietro qualche finestra.
- Entrate in casa, accomodatevi, sarete accaldati - esordì, aspirando tanto le C che il maresciallo ebbe la straniante impressione di essere stato calato sul set di uno di quei film comici toscani di cui non riusciva a spiegarsi l’enorme successo di critica e di pubblico, come si usa dire. - Gli operai m’han detto che avete trovato una statua. Gli è quella di cui ieri s’era ritrovato un braccio?
Fortuna ch’è gente dabbene, e che me
l’ha portato su. M’è parso subito che fosse di valore, e gli è per quello che ho
ordinato si smettere subito si scavare e v’ho chiamati.
- Ha fatto bene, bravo. Ma ora ci farebbe entrare?
Il custode si fece di lato di scatto, imbarazzato di essersi esibito in quel fervorino ospitale ostruendo però, di fatto, il passaggio.
Era un giovane compatto, ben piantato, col collo vagamente taurino, robusto di quella robustezza che viene lavorando all’aria aperta, e non respirando affannosamente l’affanno dei compagni di palestra. Il sole gli aveva scurito la pelle e schiarito i capelli. Gli aveva anche arrossato gli occhi, rendendo un po’ allarmante il suo sguardo, che voleva essere diretto, ma che invece sembrava fisso.
Il maresciallo Merulla lo studiò per un attimo, prima di venire risucchiato dalla frescura del cortile quadrato, contornato per ogni lato da tre archi perfetti, al cui centro una fontana zampillava acqua come fosse un miraggio.
- Non è un po’ troppo giovane, lei, per fare il custode di una villa come questa? - gli chiese un po’ per curiosità, un po’ per riprendere fiato.
- Gli è che ho preso il posto del mi babbo, che a sua volta l’aveva preso dal su babbo e così via via indietro nel tempo. La nostra famiglia ha sempre lavorato qui - disse guardandosi intorno con l’orgoglio del padrone. - I proprietari cambiano, comprano, vendono, diventano stranieri. Un sanno nulla di nulla, di questa terra e di questa casa. Ma venite di là. La gradite una limonata?
Così, in una stanza piccola oppressa da due grandi armadi scuri da dove si intravedeva l’ampio salone imbiancato a calce in fondo al quale troneggiava un enorme armonium, ben sistemati davanti ad una brocca di limonata gelata ricoperta di brina che si addensava precipitando in grosse gocce e che purtroppo era finita troppo presto, il maresciallo e il brigadiere appresero che la villa era stata fatta costruire nientemeno che dal granduca Francesco I dei Medici per la sua adorata amante Bianca Cappello, che i medesimi erano stati assassinati con l’infida arma del veleno da Ferdinando, che odiava la Cappello, che Ferdinando aveva fatto scalpellare, sempre per odio, lo stemma inquartato dei due, come poterono vedere alla loro destra, che la Cappello era una donna di rara bellezza, cosa della quale dubitarono osservando il ritratto di una donna giovane e grassoccia alla loro sinistra, e che, finalmente, l’attuale proprietario della villa era uno molto ricco, anzi ricchissimo. Un americano. Che, per fortuna, ci veniva solo a primavera e, eccezionalmente, qualche volta d’autunno. E, infine, che l’americano si chiamava Gary Rusk.
Nome che fece balzare alla memoria del maresciallo acquisti miliardari di opere d’arte, e al brigadiere i racconti di straordinarie ricchezze di cui sua moglie Luisa gli riferiva puntualmente dopo aver letto le riviste dal parrucchiere, cosa che, da quando doveva accudire i tre gemelli, succedeva purtroppo sempre più di rado.